Città di Vicenza

09/03/2012

Imu, le decisioni dei sette Comuni più popolosi della provincia: aliquota minima sulla prima casa, ma aumento per gli altri fabbricati “per coprire buchi di bilancio dovuti ai tagli nei trasferimenti"

“Di municipale nell’Imu non c’è nulla”. Sono dispiaciuti, addirittura “incavolati”, come ha detto il sindaco di Vicenza Achille Variati, i sette Comuni più popolosi della provincia che questa mattina si sono riuniti nel capoluogo per affrontare assieme la questione dell’Imposta municipale unica. Per poter colmare il buco nel bilancio 2012 derivante dai pesanti tagli imposti ai Comuni dalle manovre dei governi Berlusconi (2010) e Monti (2011), lo Stato ha infatti imposto l’applicazione dell’Imu, che però andrà allo Stato per intero nel caso delle abitazioni principali e per la metà nel caso degli altri fabbricati.

Ospitati dalla direzione generale dell’Ulss 6 al terzo piano della Palazzina Uffici di via Rodolfi, attorno al tavolo, oltre a Variati, c’erano sindaci dall’appartenenza politica trasversale: Giorgio Gentilin di Arzignano, Stefano Cimatti di Bassano del Grappa, Luigi Dalla Via di Schio, Maria Rita Busetti di Thiene e gli assessori di Montecchio Maggiore Loris Crocco, di Valdagno Federico Granello e di Vicenza Umberto Lago.

A conclusione dell’incontro di stamane, i Comuni hanno quindi reso nota la linea che verrà adottata, frutto delle tre riunioni tenutesi a Schio, tecnici compresi, su iniziativa del sindaco Dalla Via, “per dare un messaggio di serietà ai cittadini”: aliquota minima per l’Imu sulla prima casa (0,4%), di conseguenza un aumento rispetto al minimo (0,76%) dell’aliquota per gli altri immobili (tra lo 0,88 e lo 0,98%), differenziazioni tra gli immobili utilizzati direttamente dalle aziende e quelli dati in affitto per ricavarci reddito, agevolazioni per le abitazioni affittate a canone agevolato, aliquota abbassata allo 0,15 per cento nel primo anno per i beni strumentali agricoli.

In questo modo, solo per coprire i mancati trasferimenti dallo Stato, a Thiene si cercherà di coprire il buco da 1,2 milioni, a Valdagno di 1,8 milioni, a Vicenza di circa 6 milioni euro. Ma i tecnici dei sette Comuni sono tuttora al lavoro simulando tutti gli scenari possibili, anche se - hanno confermato tutti i presenti - emergono conteggi che gli stessi amministratori faticano a credere.

“L’Imu è stata stravolta nel suo significato federalista che aveva quando è stata pensata – ha sottolineato Variati -: doveva essere sostitutiva di altre imposte e invece è il mezzo che il Governo ha cavalcato per portarsi i quattrini a Roma per rimettere in sesto le casse centrali. Di fatto quindi è un’imposta dello Stato, che poteva allora applicarla direttamente invece che mettere in mezzo noi sindaci. Anzi, ci costringe ad aumentare l’imposizione per mantenere almeno i servizi minimi essenziali in un periodo di gravissima difficoltà sociale”.

“È una situazione nuova, eccezionale, che ci chiama a trovare insieme una soluzione per gravare il meno possibile sui cittadini - ha spiegato Dalla Via –. L’Imu doveva entrare in vigore nel 2013 e invece è stata anticipata al 2012 per fornire al bilancio statale 11 miliardi di euro all’anno in via sperimentale per i primi tre anni. Ciò significa incidere pesantemente sui bilanci delle famiglie e delle aziende, nonché, prima ancora, sui bilanci dei Comuni che si trovano di fronte ad ulteriori riduzioni nei trasferimenti”.

“È una manovra vergognosa e drammatica per due motivi – ha dichiarato senza mezzi termini Cimatti -: per gli effetti economici sulla nostra gente e per l’immagine di noi sindaci, visti dai cittadini come vessatori. Invece dei tagli avremmo in realtà bisogno di più denaro, anche per coprire l’insolvenza che ci aspettiamo: se una famiglia non riesce a pagare la bolletta del gas, non riuscirà a pagare nemmeno l’Imu. Peccato però che lo Stato non faccia sconti ai Comuni”.

“Contrariamente a quanto hanno deciso in molte altre città del Nord Italia – ha precisato Variati – noi abbiamo deciso di lasciare al minimo l’aliquota dello 0,4% sulla prima casa, perché la consideriamo il risultato del risparmio e dei sacrifici della nostra gente. Su questo fronte dunque i nostri Comuni non incasseranno alcun euro perché andrà tutto a Roma. E pur dovendo aumentare rispetto al minimo l’aliquota sulle altre abitazioni, abbiamo deciso di fermarci ben lontani dal massimo, 1,06%, che è pur stato applicato in altre realtà. Ad ogni modo, la fetta su cui possiamo agire è piccolissima e quindi con effetti positivi minimi sui nostri bilanci”.

“Nonostante i nostri sforzi – ha fatto notare Busetti -, resta il fatto che i cittadini non si aspettano la stangata, dovuta anche alla rivalutazione delle rendite catastali. Il colpo sarà duro da smaltire, anche perché per la prima volta ci troviamo di fronte ad una nuova povertà, variabile, nata con questa crisi e quindi dall’assenza o dalla precarietà del lavoro e da affitti assai alti. Di fronte ad una tale situazione lo Stato ci impone di fare i gabellieri con un’imposta che non ha nulla di federalista”.

“L’aumento dell’aliquota sulle seconde case – ha puntualizzato Gentilin – è dovuta alla necessità di mantenere i servizi essenziali, specie in realtà come Arzignano e Montecchio, dove abbiamo un’alta percentuale di lavoratori extracomunitari, che sono una risorsa per l’economia locale, e che saranno quelli che subiranno una maggiore sofferenza”.

Gli amministratori questa mattina si sono lasciati consapevoli che in futuro la rete dei sindaci sarà destinata ad infittirsi rispetto al passato per affrontare assieme gli stessi problemi. “Specie ora – ha aggiunto Variati – che l’ente Provincia viene declassato nella sua funzione di rappresentanza diretta dei cittadini, visto che sarà emanazione dei Comuni stessi”.

 

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