Città di Vicenza

19/06/2011

Il saluto del sindaco Achille Variati al nuovo Vescovo di Vicenza

Il testo del saluto che il sindaco ha dato al nuovo vescovo di Vicenza mons. Beniamino Pizziol sul sagrato della Cattedrale:

"Caro Vescovo nostro, mi consenta di chiamarLa così con affetto, benvenuto a Vicenza nella Sua e nostra Diocesi.

A nome della città di Vicenza, saluto tutte le autorità presenti, un saluto particolare e affettuoso all’alta figura del Patriarca di Venezia, le cui parole in questi anni hanno segnato un riferimento in tutto il Veneto per tanti di noi, ai prefetti e ai colleghi sindaci anche di altre province venete, che hanno voluto essere qui oggi per attestare al nostro nuovo Vescovo l’affetto e la stima che Lei ha saputo creare attorno alla propria missione nei lunghi anni fin qui passati al servizio della Chiesa e delle comunità. E saluto i cittadini che così numerosi sono giunti a portare a monsignor Beniamino Pizziol il loro benvenuto alla guida di questa importante Diocesi. E voglio salutare con particolare gratitudine monsignor Ludovico Furian, che in questi mesi ha saputo assolvere con saggezza e con amore il compito, da tutti riconosciuto, di accompagnare la comunità vicentina nell’attesa del suo nuovo pastore. È stata un’attesa lunga, resa fervida dalle preghiere e dalle speranze dei fedeli, e conosce oggi la sua conclusione in questa piazza, e tra poco nella nostra Cattedrale, nella letizia semplice e sincera di una comunità che saluta l’arrivo del suo nuovo Vescovo.

Caro Vescovo nostro,

la città che La accoglie è oggi, più di ieri pur nella sua lunga storia, una città di frontiera. Una terra dove si vive la complessità del nostro tempo, perché qui, prima e più che altrove, tutte le trasformazioni degli ultimi decenni sono arrivate rapide, e profondamente hanno inciso sul tessuto della nostra comunità.

Le accelerazioni economiche e produttive, che hanno mutato profondamente il nostro territorio - e non sempre in modo positivo specialmente per l’ambiente – hanno creato la nascita e l’ascesa di un inventivo e originale modello di imprenditoria diffusa, fondato sulla voglia di lavoro di noi vicentini. Si è così diffuso un benessere materiale che è divenuto velocemente – se non di massa – patrimonio di molti, ma non di tutti e comunque oggi offuscato da una crisi che si è fatta sentire anche in questa terra e che colpisce anche i giovani e rischia di diventare drammatica per i cinquantenni che perdono il lavoro.

Oggi, il modello culturale e sociale della Vicenza capace di incarnare in modo "perfetto" il modello veneto di crescita del dopoguerra appare non più sufficiente a rispondere alle sfide della nostra epoca.

Non è solo la crisi economica a indurre la necessità di un cambio di paradigma. Ci sono le richieste, sempre più forti, di un’attenzione maggiore alla qualità della nostra vita.

Una qualità fatta di armonia, di bellezza, di tempo, di cura di noi stessi e del nostro mondo, di un maggiore equilibrio con la terra da rispettare e da amare e da lasciare vivibile per le generazioni che verranno, di un ritorno all’autenticità delle relazione personali e sociali: elementi che almeno in parte erano apparsi negli ultimi decenni sacrificabili sull’altare di un benessere puramente materiale.

Ci sono nuove povertà che non sono marginali ma che appartengono a famiglie e intere fasce lavorative: povertà che chiedono innanzitutto di essere riconosciute, non escluse e ignorate come se non esistessero, ma integrate nel discorso sociale e nel discorso politico della nostra comunità, portate dentro l’orizzonte del nostro sguardo, guardate con l’amore e la fraternità che meritano.

C’è, per un ribaltamento della storia, l’affacciarsi del mondo a Vicenza: un’umanità che bussa alle porte della nostra coscienza, prima con i flussi attratti dalla speranza di partecipare del nostro benessere, ora con la "disperata speranza" di chi fugge per guerra, e che troppo spesso trova porte chiuse e muri, muri fatti di pietra o metallo ma anche – più insidiosi – di diffidenza e paura.

La nostra comunità cittadina, incoraggiata dalla mia Amministrazione, ha cercato di non chiudersi nell’egoismo e nelle paure ma ha cercato nei limiti delle sue possibilità di onorare il significato e il valore dell’accoglienza.

Vicenza è oggi, una volta di più, una terra di frontiera. Che ha voglia di ripensarsi e progettare per sé nuovi modelli. Ma che è già capace di considerarsi una comunità, e di rispondere come tale. Nel suo dolore e nel suo dramma, la pagina recente dell’alluvione ha mostrato una volta di più qual è la forza spirituale e morale della nostra gente: solidarietà, volontariato, determinazione, generosità.

Le centinaia di volontari, in larga parte ragazze e ragazzi, che con la loro pettorina e le loro vanghe sono diventati per tutta l’Italia "gli angeli del fango", hanno mostrato il volto migliore della nostra terra. Ed è per questo che oggi, su questo palco, sono qui con me a rappresentare Vicenza e ad accoglierLa Bianca e Moumini, in rappresentanza di quell’esercito luminoso che aiutò la città a risollevarsi, un esercito pacifico e senz’armi se non quelle della tenacia e della generosità, e di cui facevano parte non solo i figli per così dire "storici" della nostra città ma anche i suoi nuovi figli, i figli dell’emigrazione che non si limitano a vivere e lavorare qui, ma che sono parte integrante e da me amata della nostra comunità.

Allo stesso modo, Vicenza ha mostrato il suo volto accogliente e solidale nella risposta – una risposta responsabile e per nulla ideologica – all’emergenza profughi che stiamo vivendo in queste settimane, costruendo progetti di accoglienza che rigettassero la facile e sciagurata demagogia della chiusura e del rifiuto per attuare invece concretamente quel dovere etico e morale, prima ancora che religioso, di offrire la mano a chi ci chiede aiuto. Ed ecco perché è qui sul palco, a rappresentare questo volto di Vicenza, Desi, che come volontaria aiuta l’accoglienza di un gruppo di donne straniere presso le Suore delle Poverelle, Desi rappresentante dei tanti volontari che aiutano, spiegano, insegnano, colloquiano e non lasciano soli i profughi.

Un saluto, caro Vescovo nostro, a nome dei più deboli della società vicentina che oggi non possono essere qui in piazza, né in cattedrale ma ai quali dobbiamo molto come gli anziani, specialmente in non più autosufficienti, seguiti pur tra tante difficoltà nelle loro case dall’amore dei figli che non dimenticano l’insegnamento "dell’onora il padre e la madre", o assistiti negli istituti, comunque con affetto, e ai quali la politica non sempre assicura l’attenzione dovuta.

Ho ricordato queste cose per dire che Vicenza è sì una terra di frontiera, e della frontiera conosce le difficoltà e le asprezze. Ma è anche una terra dove la speranza resta forte nel cuore delle persone, e non si fa offuscare né intimorire.

Anche in giorni terribili come questi, quando le notizie della cronaca gettano un’ombra sul nostro cuore e ci riempiono di apprensione pensando ai nostri bambini, quei bambini che ci guardano con una fiducia che reclama in risposta attenzione e rispetto.

Perché sempre la speranza ci guida nelle nostre scelte e nelle nostre azioni, come ci guida l’amore, e ci dà forza e coraggio anche quando la notte è buia, e pare non avere fine. È con speranza che, anche dopo giorni di pioggia, guardiamo al cielo. Nella certezza che anche le nuvole più cupe non durano per sempre, e che sempre il cielo tornerà ad aprirsi al sole.

Caro Vescovo nostro, l’augurio è che Lei, che ben conosce il nostro Veneto, possa per lunghi anni essere tra noi: pastore e protagonista delle trasformazioni e delle sfide che ci attendono, in questo tempo in cui siamo chiamati con più consapevolezza che in passato a prendere nelle nostre mani il destino della nostra terra e plasmarne il futuro. Vincendo la paura, nel segno della speranza.

Benvenuto a Vicenza!"

Achille Variati, sindaco di Vicenza

 

 

 

 

 

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