Città di Vicenza

25/04/2009

Morire per la libertà, vivere nella libertà": l'intervento del sindaco Variati per il 25 aprile di Vicenza

Un discorso a tutto campo più che un saluto: nel suo intervento, prima di introdurre l'oratore ufficiale on. Valerio Zanone (presidente del consiglio italiano del Movimento Europeo, ex ministro e storico ex segretario del PLI), il sindaco di Vicenza Achille Variati, al suo primo 25 aprile dopo l'elezione a primo cittadino di quasi un anno fa, ha toccato diversi argomenti.  La memoria dei combattenti per la libertà, dei partigiani, delle vittime della seconda guerra mondiale e della Resistenza, ma anche una stoccata polemica, pur senza citarla direttamente, nei confronti dell'intervento di ieri dell'assessore regionale Elena Donazzan (che aveva definito il 25 aprile "Festa dell'odio e della divisione"). Ma soprattutto un'esaltazione del concetto di libertà e di impegno civile, in cui non sono mancati riferimenti all'attualità vicentina delle battaglie popolari sul Dal Molin. Un discorso sviluppato attraverso numerose citazioni: da Locke a Paolo VI, fino al Giorgio Gaber di "Libertà è partecipazione".

Ecco il testo integrale dell'intervento del sindaco:

25 APRILE 2009 - Piazza dei Signori, Vicenza

Saluto del Sindaco di Vicenza, Achille Variati

Morire per la libertà, vivere nella libertà

Oggi, 25 Aprile, la nostra piazza, imbandierata, ancora una volta  a distanza di 64 anni accoglie voi, cari concittadini, autorità, militari in armi, associazioni partigiane, associazioni combattentistiche e d’arma con i vostri labari, labari che sono i simboli di un  sacrificio collettivo indimenticabile a cui dobbiamo la nostra libertà. Saluto tutti a nome dell’intera città di Vicenza.

E permettetemi di dire la mia emozione personale, di essere nuovamente qui, a parlare da questo palco come sindaco, a tanti anni di distanza. Gli anni passano, per noi come per la nostra Nazione, ma molte delle cose che contano restano, si tramandano. E resistono. Come il significato profondo del 25 Aprile. Questa è una giornata di festa: siate felici, dunque, e sorridete, perché oggi si celebra una volta di più la nostra libertà individuale e collettiva.

Ringrazio l’oratore ufficiale, il Presidente on. Valerio Zanone, cui cederò tra poco la parola,  per la Sua generosa disponibilità a venire per questo 25 Aprile qui a Vicenza. Vicenza, città e capoluogo di una provincia teatro di aspri combattimenti durante la Resistenza, che videro tanti uomini e tante donne rispondere alla chiamata della propria coscienza. Presidente Zanone, Lei è in una città che ancora oggi, a distanza di tanti anni, non dimentica il valore della libertà. E ancora sa rispondere alla chiamata della propria coscienza.

Altissimo fu il contributo di sacrificio e di sangue della nostra terra per un’Italia libera. In tutta la nostra provincia su circa 10 mila fra partigiani e patrioti riconosciuti, ben 2607 sono caduti in combattimento, oppure fucilati o impiccati, 1504 deportati e internati nei campi di sterminio. Nella sola città di Vicenza furono 144 i partigiani caduti in combattimento, e 64 i decorati al valor militare: 3 medaglie d’oro alla memoria, 13 medaglie d’argento, 23 medaglie di bronzo, 21 croci di guerra al valor militare.  Nomi che non potranno mai essere dimenticati come Nino Bressan e Carlo Segato del Comando della “Vicenza”. Antonio Giuriolo, “il capitano Toni” - come lo definì Barolini “il più laico, libero, intransigente cristiano tra i miei amici” - a cui ho reso l’anno scorso, appena eletto, omaggio a Lizzano. O  Fraccon, fondatore della DC vicentina, catturato e deportato per aver messo in salvo gli ebrei, con tutta la sua famiglia arrestata, e il figlio deportato a 20 anni.

E le donne vicentine, l’altra metà della Resistenza, simbolo di una coscienza femminile che ancora oggi a Vicenza è viva, più viva che mai.

E poi i soldati, i molti giovani e giovanissimi caduti nei diversi fronti del conflitto. I molti che non avanzeranno mai richieste di riconoscimenti ufficiali e benemerenze, le voci silenziose di coloro che non scriveranno i loro ricordi ma il cui ricordo vive in noi, nei nostri cuori di familiari, di città, di popolo.

Non dimentichiamo l’apporto degli operai con gli scioperi, dei religiosi e delle religiose, la partecipazione della stragrande maggioranza dei vicentini che protesse, nascose, avvertì, aiutò chi combatteva in vario modo per la libertà. In uno slancio del tutto spontaneo, pur fra i gravi sacrifici e i lutti che la guerra aveva imposto. Sacrifici e lutti che voglio ricordare: nella nostra Vicenza, 62 bombardamenti, 1735 vittime civili, migliaia e migliaia di case distrutte. La stessa Basilica Palladiana, simbolo della nostra città e che vedete oggi tornata a rinnovato splendore, in fiamme per le bombe cadute dal cielo.

Fu a Vicenza che si costituì nel Veneto il primo comitato provinciale di Liberazione. E ricordiamo Luigi Faccio, ultimo sindaco della nostra città prima del Ventennio, defenestrato con la violenza dai fascisti e poi primo Sindaco dopo la Liberazione.

Ho detto, prima, dell’emozione di essere ancora una volta su questo palco come Sindaco. Ma non c’è solo l’emozione. C’è anche il senso di una responsabilità, la responsabilità verso la storia, verso chi si batté e morì per i propri ideali, per rispondere a quella chiamata della propria coscienza che già citavo prima. È un’eredità che siamo chiamati a onorare ogni giorno: e che a Vicenza vedo viva, accesa, e di questo non posso che essere orgoglioso.

La festa del 25 Aprile è diventata, negli ultimi anni, oggetto di discussione. E su questo voglio dire alcune parole molto chiare. Pacificazione e oblio non sono la stessa cosa. L’oblio porta alla cancellazione di quanto avvenuto. La riconciliazione parte necessariamente dalla memoria e non può prescindere dal riconoscimento delle verità e delle responsabilità. L’oblio invece rimuove le responsabilità.

“La verità vi renderà liberi”, dice il Vangelo di Giovanni. Ecco perché non va confusa la pacificazione con l’oblio. O peggio, con la mistificazione.

Leggo invece, anche oggi, parole offensive nei confronti del 25 aprile, parole superficiali che riaprono ferite. Un esponente politico vicentino, con grandi responsabilità nel governo della Regione, chiama questa giornata “festa dell’odio e dell’Italia divisa”. “Se questo è il 25 aprile – scrive questo politico - non è né una commemorazione nazionale, né, men che meno, una festa. È un qualcosa che ripropone steccati, che rende il nostro paese diviso, orfano di una Patria, di una memoria e di un orizzonte comuni”.

Leggendo queste affermazioni resto, posso dirlo?, di sale. Certo, la democrazia consente di esprimere il proprio parere. La libertà conquistata con tanta generosità da chi ci ha preceduto è la libertà che permette oggi a chi ha scritto quelle parole di dire ciò che crede. Quello che non accetto è la derisione del sacrificio eroico di tanti, è l’insulto a una festa che è la festa non di una parte ma di un popolo, la nostra festa, la festa dell’Italia che aveva riconquistato la libertà dopo il Ventennio della dittatura.

Rispondo allora con un passaggio da un discorso ai giovani di 50 anni fa di Piero Calamandrei, citato in un intervento pubblicato oggi a firma del Presidente del Consiglio Comunale di Vicenza Luigi Poletto. Calamandrei disse: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità”.

Il grande cuore del popolo aveva capito che si doveva cambiare per dare un futuro migliore ai propri figli, e ai figli di quei figli, a tutti noi. La gente comune aveva visto con chiarezza laddove molti, troppi, intellettuali erano rimasti abbagliati. C’è una saggezza del popolo, ne sono intimamente convinto, che è una saggezza superiore, più viva, più reattiva. È una saggezza che si manifesta ogni volta che l’abuso diviene troppo forte, ogni volta che il Potere pretende tributi troppo alti, ogni volta che la nostra libertà viene calpestata e umiliata.

La bandiera di Vicenza, che guardiamo con orgoglio, porta insieme le sue due medaglie d’oro: quella del 1848, risveglio risorgimentale, e quella della Resistenza. Tempi diversi, certo, e distanti un secolo, accomunati però dalla stessa partecipazione popolare. Quella partecipazione popolare che si ritrova quando i più nobili ideali di libertà, di autonomia, di difesa della nostra terra interpellano la nostra coscienza. Ieri come oggi. E a Vicenza lo sappiamo particolarmente bene.

E a volte le battaglie di libertà non sono comprese in pieno. A volte vengono guardate con diffidenza, e sospetto. Persino con fastidio. E anche questo, nella Vicenza degli ultimi anni, lo sappiamo bene. Certo, come dice il filosofo inglese John Locke, “Non c’è libertà senza legge”, e senza rispetto della legge. E questo dobbiamo ricordarlo tutti.

Ma a chi pensa che la libertà sia solo individualismo, chiusura nel privato, possibilità di coltivare i propri piaceri, ricordo le parole del pensatore francese Constant: “Il rischio della moderna libertà è che, assorbiti nel godimento della nostra indipendenza privata e nel perseguimento dei nostri interessi particolari, rinunciamo con troppa facilità al nostro diritto di partecipazione al potere politico”.

A chi scambia la libertà con il menefreghismo e il disinteresse per cosa accade attorno a noi, per le sofferenze del mondo, ricordo le parole di Paolo VI: “La libertà si degrada cedendo alle troppe facilità della vita, si chiude in una specie di aurea solitudine. Al contrario, acquista forza, quando l'uomo si impegna al servizio della comunità umana”.

A chi pensa che la libertà sia solo tranquillità ricordo le parole di uno dei padri fondatori della grande democrazia Americana, Benjamin Franklin: “Chi rinuncia alla libertà per ottenere sicurezza, non ottiene, e non merita, né libertà né sicurezza”.

A chi pensa che la libertà sia solo tranquillità ricordo le parole di uno dei padri fondatori della grande democrazia Americana, Benjamin Franklin: “Chi rinuncia alla libertà per ottenere sicurezza, non ottiene, e non merita, né libertà né sicurezza”.

E a chi rifiuta il coinvolgimento, e chiede di essere semplicemente lasciato in pace, a chi pensa che basti chiudere gli occhi per far scomparire le cose che non vanno, ricordo i versi di Giorgio Gaber: “La libertà non è star sopra un albero / non è neanche il volo di un moscone / la libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione”.

E a chi rifiuta il coinvolgimento, e chiede di essere semplicemente lasciato in pace, a chi pensa che basti chiudere gli occhi per far scomparire le cose che non vanno, ricordo i versi di Giorgio Gaber: “La libertà non è star sopra un albero / non è neanche il volo di un moscone / la libertà non è uno spazio libero / libertà è partecipazione”.

Ecco, “libertà è partecipazione”.

E libertà è missione, è proselitismo, è azione. Lo scrittore Gibran usa queste parole: “Mi dicono: se trovi uno schiavo addormentato, non svegliarlo, forse sta sognando la libertà. Ed io rispondo: se trovi uno schiavo addormentato, sveglialo, e parlagli della libertà”.

La libertà muore se non viene usata.

È quello che dobbiamo a chi ci ha preceduto, al quel grande sacrificio di popolo al cui confronto ogni nostra difficoltà appare più piccola. Celebrare la libertà come il più prezioso dei beni. Onorare la libertà nella nostra vita privata. Servire la libertà nella nostra vita pubblica.

All’ombra di chi, ieri, è morto per la libertà, noi conosciamo il nostro dovere: quello di vivere, oggi, nella libertà.

Evviva, dunque, la Festa della Liberazione! Evviva la libertà! Evviva l’Italia! Ed evviva Vicenza!

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